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La trasformazione del Cagliari: dallo Scudetto del ’70 al calcio moderno

Riva

Repubblica, nell’edizione odierna, propone un bell’approfondimento sul progetto in corso nel Cagliari. Le parole di Tomasini e altri sulla trasformazione della società rossoblù nel calcio moderno.

Prima parte dell’approfondimento (clicca qui per la seconda parte)

NON SOLO STORIA.Nel 1970 vinse il primo Scudetto del Sud, oggi non vive di nostalgia: protegge i gioielli sul mercato, prepara il nuovo stadio, conta su 1,5 milioni di fan e sogna un calcio equo“. Comincia così l’approfondimento che Repubblica oggi ha voluto dedicare al Cagliari, al suo passato, al suo presente e al suo futuro inserito nel contesto sempre più veloce e vivace del calcio moderno.

LO STORICO SCUDETTO. Quello di Gigi Riva e compagni fu il primo tricolore di una squadra del sud: “La vittoria di una minoranza – scrisse Arpinoche ha ridato lustro a una dignità che poteva essere solo privata”. Un calcio diverso, in cui vincevano o almeno potevano vincere tutte.

TOMASINI E IL CALCIO MODERNO. La pensa così Giuseppe Tomasini, 72 anni, storico difensore dello Scudetto: “Questo è un calcio da fine del mondo. Se tutto è deciso a dicembre, non lo guardo più. I club erano proprietari dei cartellini, otto di noi si sono fermati a vivere in Sardegna, oggi i procuratori ti spingono a cambiare. Non bisognerebbe scriverne nelle pagine di sport ma in quelle di economia. Mezza Italia è tagliata fuori“.

IL CAGLIARI DI OGGI. Ma il Cagliari ha saputo calarsi bene anche nella realtà del calcio moderno: il progetto dello stadio di proprietà da 25mila posti, i 10.400 abbonati e la percentuale di riempimento della Sardegna Arena del 90%. E non solo. Fan base da un milione e mezzo di persone, ricavi commerciali per il 25% del fatturato e un Academy strutturata con centri di formazione fino a Olbia, dove proprio coi Bianchi (in Serie C) è in corso una solida partnership. E poi il marketing (viene citata la maglia vintage) e le iniziative in ambito sociale (Scuola di tifo e Curva futura). E un settore giovanile da cui escono ormai grandi giocatori – si veda alla pagina Barella.

SCANU E FOIS. Alberto Scanu, presidente di Confindustria Sardegna e ad della società di gestione dell’aeroporto pensa che “la quantità di capitali necessari a vincere non è compatibile con il tessuto economico di molti territori, che però meriterebbero di più per la qualità dei progetti. Sarebbe interessante usare il calcio come laboratorio per una vera Unità d’Italia, per il diritto a un riequilibrio delle forze”.

Gli fa eco Marcello Fois, scrittore e sceneggiatore: “Il calcio è materiale attivo di questa nazione. Ha i suoi stessi battiti. Il dominio attuale della Juventus è il risultato di una mutazione figlia del ’94, di una stagione in cui il capo assoluto della nazione possedeva una squadra. Non è molto diverso da ciò che è capitato alla società, nella quale si è allargata la distanza fra chi ha tutto e chi non ha niente. Investire nel calcio significa altro: chi ha più soldi, ha più merce. Riva ci fece sperimentare l’appartenenza della Sardegna a una nazione più ampia. Un esercizio di partecipazione. Lo scudetto fu un tratto di mare in meno da percorrere”.

 

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