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Cagliari, occhio ai tifosi e al distacco dalla realtà

Risultati e gioco deludono i tifosi: continuare sulla strada tracciata potrebbe portare a una disaffezione; ascoltare i sostenitori aiuterebbe a guardare la realtà da un altro punto di vista.

PSICOLOGIA E NUMERI. Il distacco dalla realtà, in psicologia, è quello stato che ci fa sembrare vere cose che lo sono solo nella nostra testa. A questo punto sono molti i tifosi del Cagliari che cominciano a dubitare di essere affetti da questa condizione. Non volendo andare troppo indietro, dagli acquisti sbagliati in estate all’esonero dopo otto giornate, basterebbe analizzare il 2018 del Cagliari. Undici gare, nove punti: due vittorie, tre pareggi, sei sconfitte; 9 gol fatti, 18 subiti. Eppure nulla cambia, in squadra e in società. Tutto va bene nonostante, come dice López, contro il Torino “non siamo stati squadra“.

NON È SFORTUNA. Che ci sia qualcosa che non va è evidente ed è troppo facile dare la colpa alla sfortuna (gli episodi arbitrali contro Juventus e Crotone, il gol subito al 95′ con la Lazio, l’assenza di Cigarini per infortunio o lo stop per doping di Joao Pedro). Davvero troppo facile, perché non si andrebbe a considerare, per esempio, quanto accaduto a Benevento: la prestazione deludente, il gol di Pavoletti al 93′ e il rigore di Barella al 97′ con un finale rocambolesco che ha regalato ai rossoblù un terzo dei punti conquistati in queste undici gare giocate dal 1° gennaio. O perché lo 0-4 in casa col Torino, reduce da quattro sconfitte consecutive, offusca la vista di chiunque e rende il quadro molto più grigio.

DISTACCO DALLA REALTÀ. Ecco perché il distacco dalla realtà, giocando con le parole, è molto più che reale. Il tifoso sa che quello che vede è reale. Quello che vede la domenica allo stadio o in tv. Una squadra che fa punti saltuariamente e spesso in modo casuale. Una squadra che gioca con qualche schema preimpostato, schierata in campo anche in modo tutto sommato ordinato, ma che non riesce mai a creare nitide occasioni da gol in modo continuo. A schiacciare una partita come accade anche alle squadre di più piccolo rango (si veda, appunto, il Benevento contro il Cagliari due settimane fa). Che non gioca, insomma, come i tifosi si aspetterebbero.

LA SPERANZA. Ecco perché non capisce come si possa ancora continuare a credere al mito della “piccola squadra”. Perché non è una questione di budget, di ingaggi o di fatturato. Non sono i risultati, che comunque di per sé non sono esaltanti. Non è il pareggio contro la grande e non è la vittoria sofferta. Non nemmeno è il colpo milionario sul mercato quello che fa stare tranquillo il tifoso. Anzi, se i soldi sono sprecati i tifosi lo capiscono e si arrabbiano ancor di più. La speranza non è una prerogativa solo delle grandi squadre. E ciò che il tifoso ama è la speranza. È vedere la propria squadra convincere, prima ancora che vincere. Ogni cosa al posto giusto, per sperare di migliorare anche dopo una sconfitta, perché si è fatto del proprio meglio. E per gioire quando si vince. E prima o poi, se il gioco c’è, accadrà. Il tifoso questo lo sa, lo sente. E continua ad alimentare la speranza di un miglioramento.

STARE ALLERTA. Scelte sagge e ponderate, razionali. Uomini giusti nel posto giusto, con le competenze e la credibilità al primo posto. Giocatori, allenatore, uomini mercato. Curare il lato tecnico della società, quello che il tifoso vede concretizzarsi quando ammira i suoi gladiatori in campo, correre dietro un avversario o stoppare un pallone. Sapere ammettere di aver subito una batosta, senza se e senza ma. Considerare di aver fatto scelte sbagliate. Poi, solo dopo, provare ad andare avanti. Guardare in faccia la realtà, la stessa che guardano i tifosi. E insieme trovare la soluzione. Ma, se tutto questo non avviene, se il gioco non dà speranza e le scelte societarie continuano a lasciare interdetti, il rischio è che i tifosi, più che dalla realtà, si distacchino dalla squadra. Mai succeda. Bisogna stare allerta. E capire bene se la strada intrapresa è quella giusta.

 

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